Sapore di Sacher
Fare la differenza
La riabilitazione di Ignaz Semmelweis, “il salvatore delle madri” austro-ungarico
di Milo Salso
In un nostro post diventato rapidamente virale, abbiamo messo in luce alcune differenze significative sul funzionamento dei sistemi sanitari di Italia - la madrepatria - e Austria - la terra d’adozione. Al di là del successo del contenuto, veloce ed intuitivo, i diversi modi di operare tra due paesi confinanti dicono molto di più, non solo sull’Europa attuale, ma su un vero e proprio modo di pensare, di fare, insomma di intendere il servizio sanitario in toto. Dalla gestione delle casse malati austriache al vantaggio di una tessera sanitaria nazionale in grado di comprendere la maggior parte delle prestazioni specialistiche, contrapposte al sistema di ticketing italiano dai costi elevati, il paradigma di riferimento dovrebbe sempre essere quello di mettere a disposizione più conoscenze e risorse possibili per fare in modo che il numero dei malati decresca e, allo stesso tempo, quello di chi sta bene salga in senso contrario. Al di là delle politiche e degli investimenti, pensare out of the box è stato spesso, anche in passato, il vero fattore decisivo per favorire quel progresso in grado di poter fare la differenza. Anche se questo significa lacrime, sangue e sudore e, soprattutto, tempo. Praticamente quello che è accaduto al medico austro-ungarico Ignac Fülop Semmelweis (spesso germanizzato in Ignaz Philipp Semmelweis), al quale il giusto riconoscimento della comunità scientifica è arrivato fuori tempo massimo, cioè molti anni dopo la sua scomparsa.
Nativo di Buda - all’epoca ancora divisa da Pest - Semmelweis cresce in un quartiere commerciale dell’attuale capitale ungherese, frequenta il liceo ginnasio cattolico e parla la lingua tedesca, cara tra gli altri a Franz Kafka, anche lui come Semmelweis nato al di fuori dell’attuale Austria. Il giovane Ignaz, all’età di 19 anni, si trasferisce così a Vienna per studiare prima legge, più che altro per assecondare il desiderio paterno, e poi medicina, cambiando facoltà dopo aver assistito ad una lezione di anatomia. La carriera di Semmelweis, laureatosi nel 1844 con la tesi Tractatus de vita plantarum, (un titolo facilmente traducibile in italiano) iniziò con due rifiuti per un posto da praticante, ricevuti rispettivamente nei reparti di anatomia e cardiologia, finendo per addentrarsi nell’oscuro mondo dell’ostetricia, all’epoca non esattamente ai primi posti nelle gerarchie del prestigio accademico. Divenuto infine medico in chirurgia e ostetricia nel 1846, Ignaz Semmelweis ha nel frattempo avuto modo di imparare nuove metodologie di osservazione ed analisi potendo dissezionare molti cadaveri di donne morte nel reparto di ginecologia. L’esercizio di questa pratica sarà il fattore decisivo per l’intuizione in grado di cambiare la storia della medicina.
Stabilitosi come medico nel reparto di ostetricia dell’AKH (Allgemeines Krankenhaus) di Vienna, Semmelweis continuava a praticare autopsie sui cadaveri di donne decedute a causa della febbre puerperale - un grave infezione contraibile dopo un parto o un aborto - riscontrando quadri anatomopatologici sempre uguali. Ma la cosa più strana, secondo il medico, fu constatare come il numero di morti per febbre puerperale fosse incredibilmente più basso - di circa 4 volte - nel padiglione II, gestito da ostetriche e non da medici (che combinavano spesso parti e autopsie in rapida successione). La prima ipotesi, l'aria poco salubre delle città in piena rivoluzione industriale, non trovò conferma: si moriva di più in ospedale che nelle campagne e nelle città. Anche la seconda ipotesi, l’affascinante teoria dell’autosuggestione delle madri a causa dei prete e delle loro estreme unzioni, si rivelò un buco nell’acqua. In inglese si dice the lucky third time, per indicare l’effettivo successo solo al terzo tentativo. La terza intuizione di Ignaz Semmelweis sarà quella decisiva, quella che farà la differenza.
Dopo innumerevoli osservazioni e deduzioni, scoprì la correlazione tra l’insorgenza della febbre da letto e lo scarso - leggasi nullo - igiene dei medici e del personale. Il rimedio proposto dal medico è quello che Massimo Fioranelli e Maria Grazia Roccia, nel loro bel libro Medici eretici, hanno definito come “un semplice gesto”, vale a dire lavarsi le mani tra una visita e l’altra. Ma come ci è arrivato? Uscendo dal paradigma di riferimento dei colleghi, differenziando la sua analisi deduttiva per risolvere l’enorme problema della mortalità. Un suo collega, Jakob Kolletschka, morì in seguito a una breve malattia e Semmelweis, studiandone la cartella clinica, si rese conto che l'autopsia praticata sul cadavere mostrava lesioni compatibili con quelle trovate sulle mamme morte per febbre puerperale. Ma soprattutto che Kolletschka, solo qualche giorno prima, si era ferito proprio durante un’autopsia sul cadavere di una di queste mamme. L’ipotesi, in grado di fare la differenza, fu capovolgente per quell’epoca bigotta: la febbre da letto poteva essere trasferita da un corpo all'altro col semplice contatto, che medici e studenti presenti in reparto avevano prima con le donne decedute (autopsia) e subito dopo con le partorienti che andavano a visitare in corsia.
Genio? Rivoluzionario? Niente di tutto ciò. Lo studio condotto da Ignaz Semmelweis nel 1861 rimase purtroppo vittima di vecchi modi di pensare, di pregiudizi (forse paura) e di un ostracismo figlio della diffidenza, entrambe le cose nemiche del metodo scientifico. Chissá quante vite sarebbe riuscito a salvare se l’ostilità della scuola viennese non lo avesse, di fatto, estromesso dalla comunità scientifica, dalla società e non ne avesse causato la depressione che lo avrebbe condotto al ricovero in un manicomio dal quale, complice una setticemia, non sarebbe mai più uscito. Sí, la comunità scientifica mondiale ne ha riabilitato la figura, intitolandogli università, premi etc, ma molto in ritardo e solo dopo che Pasteur e Lister dimostrarono la validità della grandissima intuizione di Semmelweis, quella cioè di far lavare le mani con ipoclorito di calcio tra una visita e l’altra.
Tra le altre cose a lui dedicate vi è anche una metafora, il Riflesso di Semmelweis, ovvero la tendenza a rifiutare nuove conoscenze medico-scientifiche perché contravvenenti le norme, le credenze, insomma i paradigmi prestabiliti ed inscalfibili. Di questo riconoscimento, Ignaz Philipp Semmelweis avrebbe fatto volentieri a meno. A noi torna utile per rimarcare l’accento su come le differenze di pensiero e approccio (come per esempio quelle dei due sistemi sanitari messi a confronto qui) siano l’humus culturale giusto per migliorare e far evolvere un sistema, accettandole in modo critico e costruttivo e non per partito preso. Semmelweis stesso farebbe così.